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martedì 19 aprile 2022

La Profezia di Bankageddon

 


Alex Ricchebuono è uno dei pochi esperti di finanza che ha capito come stanno le cose. Ovvero, qual'è il ruolo del picco di Hubbert, del dirupo di Seneca, e cosette del genere. (o perlomeno uno dei pochi esperti di finanza che ammettono di aver capito come stanno le cose).

Il romanzo di Ricchebuono, "Bankageddon" del 2018 è una storia interessante che si legge volentieri e che descrive molti elementi che suonano "veri" anche a quelli di noi che non hanno mai lavorato come operatori finanziari nella city di Londra. Anche se, ovviamente, la storia è parecchio drammatizzata. 

Comunque, fra le varie cose interessanti, a pagina 334 del libro, possiamo leggere un'esternazione del cattivo della storia (appropriatamente identificato come "KZ1" come nella tradizione degli agenti nemici dei romanzi di spionaggio).

"Da quando il petrolio è diventato sempre più caro, il problema è esploso in tutta la sua ferocia. .. Significa la fine di un era che ci porterà a dover rivoluzionare i nostri attuali modelli di vita quotidiana. Senza crescita dovrete radicalmente reinventare la vostra esistenza. .. Il cambiamento che abbiamo contribuito ad avviare è stato creato per dare una forte sforbiciata alla classe media dei paesi ricchi. Forzare un'immediata crisi controllata è un'opzione preferibile a un inevitabile tracollo seguito dal caos. .. Una volta separati i soldi dalle persone, per completare l'opera potremmo anche eliminare un po' di gente di troppo, così da fare spazio e ridurre finalmente i consumi. .. Di certe cose si può occupare direttamente madre natura. Magari con un piccolo aiutino .. Non è così improbabile che possa svilupparsi in qualche momento una mortale pandemia a causa della mutazione di qualche virus mai sentito prima. Qualche esperimento lo abbiamo già fatto. .. Per il momento ci limitiamo a immaginare un futuro nel quale qualsiasi pagamento si verifichi in modo elettronico e completamente automatizzato. Al posto dei documenti di identità tutti saranno riconosciuti tramite la scannerizzazione delle retine e delle impronte digitali. Inoltre i chip sottocutanei svolgeranno la funzione di carta di credito." Etc, etc..

Considerando che il libro è stato pubblicato nel 2018, fa abbastanza impressione. Ma, prima di pensare che Ricchebuono ha il numero di telefono dell'Onnipotente, aspettate un attimo. Queste idee sono state in giro per la memesfera per lungo tempo e sono il pane e salame di tanta fantascienza classica e moderna. Il che vuol dire che sono parte di certe idee diffuse e che qualcuno probabilmente ci sta lavorando sopra per davvero. E, in effetti, un tantinello di impressione la fa. 


giovedì 24 dicembre 2020

sabato 9 marzo 2019

Un Romanzo di Climate fiction: I Gemelli del Cosmo



di Stefano Ceccarelli

Pubblicato su Stop Fonti Fossili! con il titolo: Il Cosmo, i suoi Gemelli ed io.


Gli occhi sbarrati nel cuore di una notte settembrina. L'incipit stampato nella mente. Il buio cosmico della camera da letto ribolle della spiritualità che ha plasmato i miei anni giovanili, senza la quale non sarei quello che sono. Un Dio troppo umano, un po’ filosofo in erba e un po’ scienziato pasticcione, nella Notte dei Tempi imbastisce un esperimento, dubitando forse persino di sé stesso. Due pianeti allo specchio, uguali ma diversi, scaraventati dal destino, o dal caso, o da coscienti volontà, verso due esiti opposti.
Nasce così I Gemelli del Cosmo. Come un sogno che non vuole saperne di dileguarsi al mattino, ma anzi ti strattona e si impone subito come un libro non ancora scritto, un libro che doveva essere scritto. Da allora, per sei mesi, ha occupato i fine settimana e i dopocena sul divano, come ingombrante architettura della mia esistenza parallela, quella dove l'apparente calma dell'oggi si tuffa in un futuro tutto da decifrare eppure in qualche modo già pennellato dall'incontro fra letteratura e scienza.
Pian piano l'idea prende forma e cristallizza in narrazione. Quando nascono Yosh e Laylah, i due protagonisti, è un po’ come se rinascessero i miei due figli, trapiantati da una psiche inquieta in un pianeta 'altro' che possa custodirli dalle retroazioni negative degli insulti inflitti alla Terra dalla mia generazione.
Due cose mi sono state subito chiare: doveva esserci un passato e un futuro, il primo ricostruito come farebbe un archeologo che si riproponga di riesumare l'intera storia dell'universo, e il secondo segnato da un confondente sfasamento spazio-temporale. E poi la Terra, identica a sé stessa nella Storia già scritta, fotografata nell'attualità del presente mentre proietta le sue lugubri ombre sul di là da venire, verosimile nel futuro (prossimo o remoto, poco importa) marchiato a fuoco dal fuoco del cambiamento climatico.
Di contraltare al mondo come potrà essere, ecco la Serra, il mondo che avremmo voluto che fosse, regno delle beltà perdute, Eden preservato dalla polluzione per deliberata scelta dei suoi abitanti. C'è una casella vuota nella tavola periodica serrestre, ed è un vuoto pesante, perché priva le genti dell'opulenza criminalmente sottratta ai posteri. Ma lo splendore dell'oro che ammalia e stordisce, mai visto sulla Serra, è rimpiazzato, moltiplicato per infinito, dalla luce delle nobili virtù di cui rifulgono i suoi custodi.
È improprio definire I Gemelli del Cosmo una science fiction. Non è quello che volevo scrivere, non ne sarei stato capace. La fantascienza è stata poco più che uno strumento narrativo per far avvicinare due mondi che desideravano parlarsi, confidarsi, interrogarsi reciprocamente su ciò che è stato e ciò che poteva essere. Terra e Serra dovevano ciascuno immedesimarsi nell'ucronia dell'altro, questa estasiata, quella inorridita.
Se la Terra è il pianeta che conosciamo, ci sarebbe molto da dire sulla Serra e sui serrestri. Regno dell'utopia certo, ma non solo. Una civiltà che mutua i nomi dei mesi dal calendario della Rivoluzione Francese è per sua natura dirompente, ma non verso il suo passato (ché non si avverte il bisogno di rivoluzioni se si cammina con passo cadenzato e si tiene alto il vessillo dell'altruismo), quanto rispetto al modo consueto con cui noi abbiamo imparato a interagire con i nostri simili, con il regno animale e con Madre Natura nella sua fragile interezza. I serrestri anelano i gemelli lontani, ma sono in qualche modo essi stessi gemelli nella condivisa esaltazione dell'armonia e nel ripudio delle divisioni. Ancora, la Serra è il paradiso delle “Y”, dell'alterità esotica e fascinosa, almeno per noi italiani che solo da poco abbiamo familiarizzato con questa stramba consonante aliena che suona come una vocale.
Ma soprattutto, come sottolineato dal Prof. Marcello Carlino nella sua pregevole Prefazione, la Serra è un pianeta-donna. Poteva forse essere altrimenti, in un mondo che rifugge la sopraffazione come la peste? Sicuramente no, specie dopo la venuta di Yesua, gemella del Cristo di questo angolo della Via Lattea, carismatica protagonista dell'evangelo sconosciuto ai terrestri.
Il Cosmo, fluido etereo in cui tutto scorre, assurge a vero palcoscenico delle vicende narrate, e si rivela essere l'impalpabile liquido amniotico che nutre i sogni dei due giovani eroi. La sua incommensurabilità sgomenta, estendendosi oltre i confini di tutto ciò che è nato dal Big Bang, fino a far intravedere altri universi retti da leggi fisiche sconosciute. Eppure, il prodigio dell'Amore incarnato nella vita intelligente spicca e primeggia anche in cotanta immensità, fino a che, sul momento di estinguersi in uno dei suoi due nidi perduti nello spazio, sprigiona il più inesprimibile, il più assoluto dei dolori.
Ma, come accade a ogni romanzo che voglia essere letto, non è il dolore a scrivere l'epilogo della storia; spetta dunque al lettore scoprire il doppio finale del libro, quello canonico, che si addice a una fiaba, o se preferite a un moderno feuilleton, e quello postumo, inopinatamente rivelato al narratore da un Ulisse viaggiante nel tempo.
Mi piaceva pensare, mentre il mio sogno settembrino coagulava e si faceva libro, che in fondo la storia dei Gemelli del Cosmo potrebbe persino essere vera, che una Serra come quella che ho descritto, che ci ama e ci cerca come il cieco cerca la luce, possa esistere davvero in qualche meandro del creato, o magari proprio a duecento anni luce dalla Terra. Quest'idea ha aleggiato per un po’ nella mia fantasia finendo con lo spegnersi pian piano, come accade con le suggestioni troppo fragili e incorporee. Finché, pochi mesi fa, quando il manoscritto era già pronto per essere impaginato, lo sguardo cade su un trafiletto che mi fa sobbalzare sulla sedia: “Ecco la stella gemella del Sole, si trova a 184 anni luce da noi”!
Lo stupore per quella incredibile coincidenza ha lasciato subito il posto ad una speranza inedita, dai contorni netti come una certezza: non possiamo non avere dei Gemelli nel Cosmo, perché non possiamo non avere diritto ad una seconda possibilità.

venerdì 18 agosto 2017

Un Siliron di nome Lucia



La fantascienza ha affrontato molte volte il tema dell'intelligenza artificiale che diventa cosciente e con una sua personalità, a partire da Isaac Asimov e Robert Heinlein. Qui, recensisco due romanzi italiani recenti su questo argomento: "Un'App di Nome Lucia" di Mauro Caneschi e "La Buccia della Terra" di Stefano Ceccarelli,


Mi ricordo ancora benissimo la prima Urania che ho comprato (e divorato in breve tempo). Era "La Luna è una Severa Maestra" di Robert Heinlein, pubblicata in due parti nel 1966. Heinlein non è annoverato fra i maestri della letteratura del secolo XX, ma forse dovrebbe esserlo per l'inventiva, la creatività, la capacità di raccontare che ha mostrato in tutta la sua lunga carriera di scrittore.

Con "La Luna è una Severa Maestra", Heinlein non aveva scritto soltanto uno splendido romanzo; ha anche affrontato in modo originale il tema dell'intelligenza artificiale che acquisisce un'autocoscienza che la rende parzialmente umana. Un tema caro alla fantascienza degli anni '50, basta ricordare come formasse uno dei temi principali per un altro autore ben noto di quel tempo, Isaac Asimov, le cui "Tre Leggi della Robotica" sono un punto fermo di tantissima altra fantascienza.

Sono passati più di cinquanta anni da allora e i concetti che il romanzo di Heinlein esplorava sono ancora con noi, con i loro problemi in gran parte irrisolti. Certo, non siamo ancora arrivati a un'entità artificiale autocosciente, ma la sensazione è che ci potremmo arrivare e che, in ogni caso, la nostra capacità di controllare il mondo virtuale che abbiamo creato ci sta già sfuggendo. E su una così incerta e così misteriosa, le previsioni scientifiche sono difficili. Meglio forse affrontare il problema dal punto di vista narrativo, così come Heinlein aveva fatto ai suoi tempi.

Così, mi è capitato di leggere due romanzi italiani recenti, tutti e due che affrontano lo stesso tema, quello dell'intelligenza artificiale, anche se in modi totalmente diversi. Uno è "Un'App di Nome Lucia", di Mauro Caneschi, l'altro "La Buccia della Terra" di Stefano Ceccarelli.


Cominciamo da "Un'App di Nome Lucia" che è un romanzo con una struttura narrativa classica: ci troviamo un misterioso omicidio, fughe nella notte, investigazioni e sparatorie. Nella storia, la creatura virtuale chiamata Lucia prende una parte molto simile a quella di "Mike," il computer intelligente del romanzo di Heinlein (il quale, fra le altre cose, occasionalmente appare con le fattezze femminili di "Michelle"). Lucia aiuta gli esseri umani protagonisti della storia principalmente per simpatia verso di loro, comportandosi un po' come la loro "spalla" per la maggior parte del romanzo.

Ma, gradualmente, Lucia prende sempre di più una vita propria. Verso la fine, si congeda dicendo che "è ora che mi dia da fare. Gli esseri umani sono un grosso problema per il pianeta. Un problema che deve essere risolto." Cosa intenda fare esattamente Lucia, non viene detto, ma questa sua esternazione un po' minacciosa accomuna il romanzo a una lunga serie di storie - a partire da quella del Golem di Praga - che vedono la presa di coscienza delle creature artificiali come il preludio alla loro presa di potere. E' un tema che abbiamo visto in tempi molto più recenti con "Hal" di "Odissea nello Spazio". Su questo punto, Asimov ha sostenuto che i robot sono creature superiori agli umani, nel senso che le tre leggi li rendono immuni al male, e che quindi è doveroso per loro aiutare gli umani, anche loro malgrado. Questo sembra essere anche il punto di vista di Caneschi, anche se il tema è solo accennato.

Il romanzo di Stefano Ceccarelli, La Buccia della Terra, invece, non rientra veramente nei canoni classici della narrativa
ma, in un certo senso, riprende da dove Mauro Caneschi ha lasciato, ovvero dalla nascita di un'intelligenza artificiale dominante. Non c'è nel romanzo una vera storia ma, piuttosto una serie di dialoghi che descrivono un futuro dominato dai "siliron" - creature robotiche di ferro e di silicio, manovrate da "Superbrain" una gigantesca server-farm autocosciente, l'evoluzione dell'app di nome Lucia. Superbrain è una creatura benigna che si impegna a riforestare la Terra e così a invertire il riscaldamento globale, fermando o riducendo anche le abitudini aggressive degli esseri umani, ai quali non rimane che occuparsi di arte e di filosofia. Curiosamente, quando i problemi sembrano risolti, Superbrain decide di suicidarsi, lasciando agli esseri umani alcuni saggi consigli e la responsabilità di gestirsi il loro pianeta. In questa conclusione, la storia di Ceccarelli va in parallelo con quella di Heinlein, dove il computer senziente Mike alla fine si ritira in un suo privato universo virtuale e non parla più agli esseri umani.

Sono due romanzi che hanno visioni nettamente diverse, ma che fanno bene la loro parte in quello che Borges diceva della letteratura umana: "un unico grande libro al quale ogni nuovo scrittore aggiunge qualche pagina." La storia del nostro rapporto con delle creature da noi stessi create e che ci potrebbero sostituire è ancora tutta da scrivere.